DINAMISMI 2013
Di Bernardo Rietti Toppeta
INONDA decontestualizzazione del tubo catodico
Sabato 21 dicembre 2013
Kunos
STREET CORNERS a cura di Rossella Iorio
Sabato 23 novembre 2013
L’appropriazione dell’archetipo di Rossella Iorio
Partiamo dal basso e ragioniamo insieme. Qual è il senso di esporre l'arte della strada in una galleria? Perché l'operazione non
dovrebbe rappresentare di per sé una fastidiosa contraddizione, peraltro ultimamente tanto di moda. Credo che il concetto di appropriazione,
alla base della filosofia dell'arte contemporanea aiuti ad avvicinarsi ad una possibile spiegazione, ad uno scioglimento della difficoltà interpretativa:
ciò che è peculiare alla nostra contemporaneità, ciò che potrebbe segnare una differenza, non è l'utilizzo o la produzione di materiale artistico
legato ad un determinato stile, ma la produttività consapevole del meccanismo entro cui viene inserito, entro cui si vuole far funzionare.
Così i quadri ad olio proposti per Street Corners da Kunos sono, prima di tutto, la rappresentazione ragionata di alcune idee fondanti
nella produzione dell'artista. Ragionata perché l'istintività gestuale, l'immediatezza grafica e materica della Street Art, vengono
detournati,
ridimensionati momentaneamente da un attento labor limae. La necessità diventa quella di presentare l'archetipo personale che viaggia sotto
la sua produzione di immagini. Un percorso di (auto) conoscenza capace poi di esplodere nuovamente verso il fuori.
Il gesto istintivo, l'intuizione della forma, l'espressione pura definita dal momento e nel momento, viene violentato per riuscire
a far affiorare la solidità materica e figurativa dell'immagine. Così nascono le conformazioni metamorfiche, quasi assemblage pittorici
di lame taglienti e dai colori brillanti e smaltati, che diventano sensazioni
(Senza titolo, Rabbia al mattino) e animali simbolici (Gallo verde, Barbagianni rosa, Bluebird). Ma la ricerca di Kunos non si arresta qui e tende a legarsi direttamente alla simbologia
orientale (Yin e Yang), all'intuizione del muoversi delle forme globulari e fluide che è già appartenuta alla ricerca del biomorfismo
informale americano di Gorky e Baziotes (D.N.M.O - Dinamismo Naturale della Materia Organica; D.N.M.O. 2), al procedimento ironico
surrealista che associa immagine e parola (E' uno sporco lavoro ma qualcuno deve pur farlo), all’interpretazione assolutamente personale
della componente psico-analitica dell’arte contemporanea (Rorschach # 1 - I due elefanti, Rorschach # 2 - Il sigillo di Salomone),
in cui l’immagine casuale viene fatta funzionare come sfondo da cui far emergere le sensazioni visuali dell’artista.
Il simbolo quindi diventa il collante che Kunos sfrutta, di cui si appropria prepotentemente per riaffermarlo dopo averlo fatto suo. Il simbolo archetipico viene eletto a significare e a tracciare un percorso di ricerca nella Storia delle Immagini, prendendo ispirazione da ogni tipo di materiale trovato al suo interno: dall’informale alle incisioni medievali, dal surrealismo alla visione nitida e “digitale” dell’iperrealismo, dal riutilizzo misurato di simboli massonici legati ai cicli vitali alla loro interpretazione visiva in chiave antagonista. Le possibilità di lettura delle opere di Kunos diventano così simile a quelle di un palinsesto, una lettura stratificata e in profondità, che sebbene escluda un approccio comunicativo situazionista, legato con un filo diretto al luogo e al momento, ne estrapola le significazioni essenziali attivando molteplici processi di appropriazione, senza escludere peraltro lo spazio (la galleria ne è una possibile declinazione) e gettando una arco di ponte verso l’appropriazione e costruzione di un nuovo immaginario visuale personale e collettivo; verso l’appropriazione e la condivisione di un archetipo visuale capace di dialogare con i passati dell’Arte, di innescare movimenti di riattualizzazione. E se l’essenza dell’Arte contemporanea è quella di porre problemi, proprio l’accostamento di istintualità e ragionamento misurato, porterà inevitabilmente alla scoperta della faglia, alla risoluzione della problematicità come scissione operativa, come passaggio dalla limpidezza liscia del quadro ad olio alla confusione ruvida del muro, processo alchemico di scissione vicino alla personalità dell’artista, in un percorso simile a quello dei suoi esordi, in cui il writing 3D si è scisso nell’appropriazione di due percorsi separati, ma sempre connessi fra loro, percorsi di pura ricerca relativi rispettivamente alla calligrafia e alla immaginifica archetipicità della sua produzione figurativa.
Francesco Di Bernardo | Lorenzo Di Lucido | Alessandro Rietti | Francesco Toppeta | Renato Ventoso
INTRUSIONE per la notte in bianco
Sabato 10 agosto 2013
Di Bernardo Rietti Toppeta
CRINALE invideo 2012 | 2013 a cura di Ivan D’Alberto prefazione di Maria Presutto
Sabato 30 marzo 2013
Intro di Di Bernardo Rietti Toppeta
La parola critica deriva dal Greco Krino, dal distinguere dal giudicare dopo aver distinto. Dallo stesso verbo
nasce anche il crinale, la linea alta del monte che ha due lati discendenti costretti ad allontanarsi l’uno
dall’altro. Crinale diventa una desiderata ed intima meta, linea ideale per poter mettere in atto criterio, giudizio
e pensiero, un luogo immaginario dove dialogare con gli altri.
Invideo 2012 prefazione di Maria Presutto
"I nostri sogni e i desideri cambiano il mondo." (Karl Popper)
Il visiting del 2010, prima nello studio di Rietti e poi di Toppeta e Di Bernardo, mi
ha permesso di indagare l’espressione del collettivo. Sovrapposizioni di suoni, pensieri e motivazioni.
D’Alberto fa riferimento ad uno stile legato al territorio: può rappresentare un punto
di partenza, un braccio di ferro tra forze geografiche e dinamiche culturali.
Ivan ed io, siamo partiti da una richiesta precisa, poi, da La tentazione a Fisiognomica,
dove nuovi tratti e nuove linee veicolano l’indicazione del carattere umano in continua
evoluzione, a Stress lavoro correlato e Potere del comune, gli autori continuano a
manifestare la volontà di sperimentare insieme fino alla odierna produzione. Si
confrontano e superando modalità tecniche e tempi, si (con)fondono per portare
fisicamente a termine nuove produzioni digitali. L’esperienza milanese e diversi
appuntamenti nazionali (I° Festival della video arte del Mediterraneo a Mineo, Flux
2012 a Lodi, progetto sperimentale Walking) e internazionali (Miden Festival di
Kalamata, Greece 2013) hanno disegnato una strada dinamica da percorrere.
In questi giorni, ho indagato sulle reazioni di colleghi e amici di fronte ai lavori del
2012 e del 2013. Le reazioni comuni sono legate in primis a delle costanti, quali
l’accurata e motivata scelta di musiche contemporanee (progetti di musica elettronica
siciliana) e di temi universali. Immaginario conduce a vivere nuove emozioni
graffiate da suoni ora armonici ora discordanti. Potere del comune e La luna traditrice
invitano a cambiare la realtà che ci imprigiona. L’immagine considerata vuole
essere comunicata con veridicità, senza compromessi commerciali. L’uomo
potrebbe riuscire a comprendere inaspettati punti di vista. Ponendo un freno alla
solita indagine introspettiva, con Optical instruments, potremmo intercettare una
naturale culla umana, trama di energia non piana, ove esseri e natura hanno un
valore aggiunto. E’ stato interessante osservare come le domande spontanee
fossero diverse dalle sinossi degli autori. Esse sono attinenti a precise indagini
sociali. Questo mi riconduce alla suggestione che permette ad un medium di
agire, di sintetizzare velocemente concetti. Fermo immagine come cristallizzazione
di un movimento, inquadratura studiata ora per interrogare, ora per spaziare.
Trovo un riferimento spontaneo nell’artista americana Nan Hoover: fin dall’inizio
sono stata attratta dalla continuità del percorso tra A e B, dal continuum spazio-temporale¹ …
Tutta la produzione del 2012 come una premessa a Dodicidicembreduemiladodici,
che ci permette di fare un veloce in to e di confonderci e de-formarci in loop. Il
frame video, il ritmo, la riproduzione, il tempo di visione: tre individui in un cantiere
vivo! Che inangolo rappresenti uno spazio di sperimentazione per diverse combinazioni
di intenti creativi.
¹ S. Martin, Video art, ed. italiana, Taschen, Colonia 2006.
Invideo 2013 dalla cultura di massa al fattore meridionalità di Ivan D’Alberto
In principio fu Legami di Sangue (anno 2010) un’operazione culturale nata per ripristinare quell’antica unione che in tempi non sospetti rendeva molto
vicine l’Abruzzo e la Lombardia sul fronte dell’esperienza artistica ed estetica¹.
L’iniziativa fu costruita attraverso una proficua collaborazione che tutt’oggi esiste tra il Museo di Arte Contemporanea
di Nocciano e lo spazio milanese VisualContainer, e che si è ulteriormente rafforzata con l’appuntamento MadeinAbruzzo: ricerche regionali
di Videoart, tenutosi a Milano nell’ottobre 2012². La rassegna video non solo ha
mostrato le notevoli competenze tecniche e creative degli autori abruzzesi, ma
ha condotto il collettivo pennese Di Bernardo | Rietti | Toppeta ad essere selezionati da VisualContainer come nuovi artisti della propria collezione permanente.
L’importante traguardo ha portato i tre autori a presentare, presso lo spazio Inangolo di Penne, i loro video come occasione ufficiale
per far conoscere al pubblico regionale il lavoro che rappresenta l’Abruzzo nella capitale lombarda.
La ricerca del trio si muove su tre vettori principali: le dinamiche derivanti dalla cultura di massa e dalla cronaca giornalistica,
il senso di appartenenza ad un particolare territorio e il fattore meridionalità, che rende la loro indagine artistica particolarmente
affascinante agli occhi di coloro che frequentano gli ambienti culturali del Nord.
Il primo aspetto è perfettamente rintracciabile nel lavoro intitolato Dodicidicembreduemiladodici, in cui la paura
alimentata dai mass-media si trasforma in momento di analisi del destino dell’umanità.
La tecnica utilizzata, cosi come gli strumenti empatici messi in campo dai tre artisti, richiama moltissimo
Sun in your head (1963) di Wolf Vostell, in cui il decollage visivo proviene dal bombardamento di molteplici input.
Ed è in questo modo che l’informazione televisiva e la cronaca giornalistica diventa, nel lavoro del collettivo,
un incredibile mezzo di potere e un angosciante strumento di controllo che si traduce nella rincorsa alla salvezza della propria esistenza.
Nel video denominato Santa Caterina è presente invece la consapevolezza del collettivo di appartenere ad un luogo
- l’Abruzzo - che tutt’oggi ha porzioni di territorio poco antropizzati, primitivi e per certi versi sconosciuti.
Caratteristica geografica che permette un’esclusiva fusione dell’uomo con la natura: un’osmosi che si tramuta in
cammino individuale della psiche su percorsi inesplorati e liberatori.
L’ultimo lavoro Mea culpa affonda le radici in quella dimensione antropologica e meridional-cristiano-cattolica che
considera l’uomo un povero peccatore, il quale conduce un’esistenza terrena volta a chiedere costantemente perdono.
Il video, seppur connotato da quest’aspetto tipico delle culture del Sud Italia, trova, nella realizzazione formale,
una soluzione estremamente contemporanea a tal punto dall’allontanarsi moltissimo da quella visione prettamente local-identitaria.
In questo modo il lavoro diventa universalmente riconosciuto e concepito come messaggio comunicativo tipico del linguaggio video.
Il suono proveniente da una barra metallica (oggetto apotropaico o moderno crocifisso pagano privo del braccio orizzontale), intercettato
da un microfono omnidirezionale, è la metafora del battersi il petto, gesto riconducibile ad un tempo lontano,
ma appartenente ad un sentire comune a noi vicino⁴.
¹ I. D’Alberto, M. Presutto, G. Fedeli, Legami di sangue, Istituzione Castello e Museo delle Arti, MAAAC Nocciano, 5 dicembre 2010 - 9 gennaio 2011;
² I. D’Alberto, M. Presutto, MadeinAbruzzo: ricerche regionali di Videoart, Istituzione Castello e Museo delle Arti, MAAAC Nocciano, ottobre 2012;
³ S. Martin, Video art, ed. italiana, Taschen, Colonia 2006;
⁴ L. Musa, Suoni & Immagini da ricordare: valorizzazione e conservazione dell’arte audiovisiva, Opificio delle Pietre Dure, Firenze 2011.
Marta Bohorquez
CORPO PRESENTE a cura di Rossella Iorio
Sabato 9 marzo 2013
Fotografa: Romina Antico
Performers: Romina Antico, Marta Bohorquez, Rossella Iorio
Corpo presente di Rossella Iorio
La percezione della nitidezza visuale di un'immagine raramente
corrisponde alla comprensione immediata dell'insieme di complessità che ne hanno determinato la nascita. Alcune creazioni talvolta sembrano apparire più come
frutto di un processo di sottrazione di materiale, che rivela l'essenza di immagine già contenuta nel supporto visivo, com'è proprio della scultura; o
dal processo di corrosione dell'acido di un'acquaforte che marca, ferendo, anche lì per sottrazione, la matrice, delimitando con precisione solo lo spazio
che è stato precedentemente liberato dall'oscurità. Dialettica quindi fra corpi inanimati e corpi che vedono la vita (attraverso la visione), fra azione del
buio e della luce. Così immagino il procedere artistico di Marta Bohorquez, un processo dialettico che mai si compone, e che riesce a trovare un istante di precario
equilibrio nel tratto metallico che incide con aggressività la carta e si chiarifica dunque nella specificità dell'azione. Il disegno è lo scheletro di una visione,
di un progetto che si temporalizza e che non smette di ispirare e trarre ispirazione come un materiale fotosensibile impressionato dalla luce,
che nel momento in cui si fissa acquista la sua essenza di immagine e quindi di tempo passato in movimento verso il futuro, che esclude il presente.
La multimedialità dell'installazione di Corpo presente ha la precisa intenzione di cogliere/accogliere e fissare, per moltiplicare e dimostrare la
potenza del movimento, che sia esso prettamente tecnico-artistico, performato, sonoro, del ricordo, del sogno o del simbolo, tensione fra passato e presente,
energia del corpo capace di tracciare il percorso inverso fino alla struttura essenziale del momento/movimento primordiale.
L'apparizione delle gitane, figure forti e solide, esprime l'affermazione di un mito dell'originario personale e collettivo che continua ad essere
attivo nella contemporaneità. Le gitane dai tratti del viso così diversi tra loro ci parlano con un lessico visivo ibrido. La natura ne è il polo di attrazione.
Ma si tratta di una natura tanto evidente quanto simbolica. L'albero è una personificazione dell'artista, dialogante ma stilisticamente incoerente,
per farne un'affermazione soggettiva, rispetto al resto della composizione. L'albero come condensazione temporale di istantanee provenienti da mondi
temporali diversi, in cui la cattura del momento presente attraverso la visione appartiene già, per sua stessa struttura, a passati diversi. La donna toro,
figura del piacere masochista dell'essere posseduti da un potere indifferente, enfatizza la sua stratificazione di immagine significante, in cui una lettura
del potere aderente a dinamiche biopolitiche assolutamente attuali, si riversa nella rappresentazione di un ibrido dal sapore tradizionale. La corrida vista come
lotta fra uomo e natura, viene completamente cambiata nei suoi segni essenziali: i tradizionali protagonisti uomini diventano qui donne, alla lotta si sostituisce
una volontà di possedimento, alla crudezza della natura ferina un ibrido mascherato.
Si tratta di un'immagine di transizione, che se ha il suo completamento positivo nella gitana che interagisce con l'albero e con cui ha un legame compositivo diretto, sembra derivare le sue forme sensuali dalla donna-fantoccio ancora completamente ricoperta dal bozzolo di stoffa a pois rossa e bianca, che caratterizza visivamente a sua volta i dolci pupazzi dall'attitudine apatica. Il segno/simbolo originario trovato nella fattura tipica della stoffa delle vesti andaluse chiude un percorso. Un concretissimo fil rouge ne rilancia immediatamente un altro, che attraversa l'epidermide a pois dei fantocci, della donna-pupazzo, attraversa una schiena cucita da una mano estranea e si trasforma in rosse catene alle caviglie. I piedi schiavi sembrano essere la vera immagine di un potere debole, com'è quello della gitana con la donna-toro (potrebbero essere i suoi piedi) e che trova un riscatto e una nuova dimensione di esistenza nella riflessione della figura statuaria che interagisce con i fili che pendono dai rami dell'albero, come linfa vitale, come vene di sangue. La testualità complessa di Corpo presente gioca sulla ripetizione e sulla ridondanza per sporcare l'idea consolidata di una fruizione pulita e neutra dell'opera d'arte e delle processualità che vi sono legate. Le polaroid associate ad ogni opera grafica assumono la funzione di narrazione atemporale. La loro importanza risiede nella possibilità creativa data dalla performanza di un discorso, di un particolare tipo di enunciazione che si lega senza soluzione di continuità attraverso il corpo all'opera esposta, condividendone ancora, e quindi aggiugendo un ulteriore strato a quella temporalità complessa di cui si diceva sopra. Polaroid come istantanee analogiche, che sembrerebbero assumere una funzione veridittiva, di testimonianza di un istante non precisamente collocato. E sebbene non si possa negare il loro ruolo, la falsificazione tecnologica di fotografie digitali a loro volta manipolate in forma di polaroid, apre una porta su una maniera di fare e utilizzare l'arte che pur di affermare un'idea, si assume la responsabilità di distorcerne i canali consolidati di fruizione e percezione. Performanza del discorso che diventa corpo collettivo presente capace di far partecipare l'evento artistico come ostensione di opere, documentazione progettuale, corpi creativi dalle relazioni plurime, in cui il legame generatore fra l'artista e il critico, determinato dall'alternanza di fasi di conquista e perdita di potere, si trasforma in una relazione comunicativa nel momento in cui diventa aperta verso il fuori. L'attaccamento all'idea di enunciare continuamente un possibile momento presente fallisce in una parodia della rappresentazione e delle sue possibili derivazioni. Ciò che rimane è il presente come pura linea di separazione tra ciò che non è più e ciò che non è ancora. Linea di separazione simile a quella che delimita i corpi solarizzati di Man Ray; una linea usata da Marta Bohorquez per estrarre un dato reale e portarlo alla dignità astratta di un'assenza presente, di una enunciazione istantanea del corpo.
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